ROMA – Con sentenza 10 gennaio 2011, n. 256 della VI° Sez. Penale della Corte diCassazione, viene sentenziato che non integra il reato di peculato la condotta del dipendente che utilizza la linea telefonica per fini privati, qualora il danno economico arrecato alla pubblica amministrazione sia di modesta entità. E’ quanto stabilito da Giudici della Suprema Corte, chiamati a pronunciarsi sulla sentenza della Corte d’Appello di Catania, che in precedenza, aveva riconosciuto colpevole del reato di peculato continuato, un sottufficiale dell’Arma dei Carabinieri a cui era stato contestato l’utilizzo delle utenze telefoniche intestate all’Amministrazione per telefonate d’interesse personale. La Suprema Corte, infatti, nella sentenza in questione, ha enunciato letteralmente che “il fatto lesivo si sostanzia propriamente nella appropriazione, che attraverso tale uso si consegue, delle energie, formate da impulsi elettronici, entrate a far parte della sfera di disponibilità della pubblica amministrazione, occorrenti per le conversazioni telefoniche.Tuttavia, affinchè sussista l’elemento materiale di tale delitto, è necessario che i beni sottratti all’amministrazione posseggano un significativo rilievo economico.” Nella fattispecie esaminata, i Giudici di Legittimità hanno osservato che i beni costituenti l’elemento oggettivo del peculato sono di entità così modesta da non provocare un vero e proprio danno al patrimonio della pubblica amministrazione, per cui il reato suddetto non sussiste. La conclusione a cui perviene la Suprema Corte si è dunque uniformata ai più recenti orientamenti giurisprudenziali in tema di peculato escludendo il configurasi di tale fattispecie criminosa a causa dell’inidoneità dei beni, di cui il dipendente si è impadronito, a rilevare come elemento materiale dell’appropriazione.